Ho letto che, in alcuni Paesi, esistono “biblioteche viventi” dove i libri da prendere in prestito sono persone in carne e ossa, che, una volta scelte dal “catalogo” raccontano al lettore/ascoltatore la storia della propria vita.
E’ un progetto iniziato nel 2000, in Danimarca, dove per la prima volta venne creata una “libreria” di esseri umani, che, presi in prestito per mezz’ora, raccontavano la storia di un’esistenza spesso difficile e dolorosa. Fu creata da un piccolo gruppo di giovani come risposta all’aggressione a sfondo razzista subita da un loro compagno. L’iniziativa si è poi allargata ad altri Paesi (oggi sono una cinquantina), grazie all’organizzazione The Human Library (https://humanlibrary.org/). Uno degli obiettivi è combattere i pregiudizi: ogni persona ha un “titolo”, che poi è la definizione (spesso stereotipo frutto di giudizio e pregiudizio altrui) come “ragazza lesbica”, “donna islamica col velo”, “emigrato albanese”, “disoccupata”, “rifugiato”, “bipolare”, ma ascoltando i loro racconti di vita si può comprendere quanto sia sbagliato “giudicare un libro dalla copertina”. L’incontro rende concreta ed unica la persona che si ha davanti, che (come scrive Isabel Schwaben) smette quindi di essere percepita come rappresentante di una categoria sulla base di una generalizzazione, ma viene riconosciuta nella sua unicità, una persona che non rappresenta nessuno se non la propria esperienza e storia.
Al momento l’organizzazione è attiva in cinquanta Paesi e in alcune biblioteche, ad esempio in Corea del Sud e in Tasmania, sono permanenti – mentre altre sono allestite soltanto temporaneamente.
Nel mio piccolo mondo di prof., mi riprometto, il prossimo anno scolastico, di organizzare con i miei ragazzi qualcosa di simile, per un percorso che porto avanti da anni, di ascolto e immedesimazione contro il pregiudizio e l’intolleranza.
#Aglaja
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