Figure, La finestra sull'anima

Ti scrivo lettere, poesie

Per l’ultima (al momento…) serata di Beatrice Zerbini nel nostro salotto poetico, “La finestra sull’anima”, ho illustrato la seconda poesia interpretata da Simona Garbarino. Ecco il testo:

Ti scrivo lettere, poesie;
ti scrivo, ti scrivo;

è un’opera di operaia,
è un’appendice raschiata,
bisturi e catena di montaggio
e maggio, segretamente,
fiori, colore rosso e vinaccia,
la tua faccia, schiaffi,
scuotimenti:
senti?

Ma scrivo
alla bambola sul letto,
all’oggetto
esanime, col moribondo
credere.

Cerco
le parole che sveglino,
scrivo, scrivo: è dissotterrare –
mi sembra –
il tuo amore che non respira;
ti scrivo, come a
liberargli le narici,

ti scrivo, come a
resuscitarlo,
ti scrivo, come a
prendere in braccio
il cucciolo sotterrato:

lo lavo, lo chiamo per nome;
amore che mi amavi – gli dico –
sono io, vivi.

Beatrice Zerbini

È l’ideale proseguimento della lirica che ho illustrato ieri sera, “Andando via di fretta dall’amore”. Se quella era incentrata sull’andare via, lasciando i simboli dell’amore che era stato, qui il verbo-chiave è “scrivere”. La scrittura è divenuta ossessione e respiro, la riserva di ossigeno, l’intervento salvifico, i gesti disperati per richiamare alla vita un amore apparentemente morto. Le anafore (ripetizione di una o più parole all’inizio di versi: “ti scrivo”, “scrivo, scrivo”) sembrano i battiti del cuore che si cerca di rianimare (la metafora del cucciolo disseppellito è chiarissima e commovente. Appartiene al vissuto della poetessa?). Il ritmo insistito, le similitudini ripetute (“come a…”), i gesti e i pensieri convulsi, sottolineano l’angoscioso, disperato non arrendersi all’epilogo. Il campo semantico della morte, che scorre l’intera lirica, si scontra quindi con la volontà di vincerla, ed è emblematica l’antitesi presente nell’imperativo conclusivo: vivi.

ti scrivo

Descrizione dell’immagine.
Una stanza in una penombra blu cupo. Una scrivania e un lettuccio accanto, su cui intravediamo una bambola (una Pigotta coi capelli scuri e ricciuti). Alla scrivania, addossata al muro, è seduta una donna, intenta a scrivere. La vediamo di spalle: lunghi capelli neri, una massa di ricci, definiti dalla luce che entra da una finestra e rompe l’oscurità della stanza.. La luce rivela, adagiato sulla scrivania, il corpicino di un cucciolo con gli occhi chiusi (è morto? Dorme sfinito?).
Sulle pareti in penombra, a sinistra della donna, sono scritte queste parole:

“Ti scrivo lettere, poesie;
ti scrivo, ti scrivo”

“Senti?”

A destra, dove la parete riceve un po’ di chiarore, è scritto:

“Cerco
le parole che sveglino,
scrivo, scrivo: è dissotterrare –
mi sembra –
il tuo amore che non respira;”
“amore che mi amavi – gli dico –
sono io, vivi.”

Nei quattro angoli bui della stanza è ripetuto:

“ti scrivo”

Sulla poltroncina su cui siede la donna, c’è un nome: Beatrice Zerbini.

#Aglaja

 

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