2021, Figure, Parole

IL FENOMENO

1 – La prima volta che le capitò il fenomeno fu in piccolo parco urbano.

Usciva alle cinque del pomeriggio dall’ufficio e, per ritemprarsi lo spirito e i muscoli, da qualche tempo si imponeva di percorrere a piedi il tragitto dal lavoro a casa e viceversa. Certo, non che l’aria cittadina fosse particolarmente salubre, ovviamente, specialmente se, come nel suo caso, il percorso attraversava il centro trafficato. Però, nell’ultimo tratto del rientro, alla donna piaceva allungare un po’ di più il cammino per varcare i cancelli di quel polmoncino verde che le ricordava momenti belli del suo passato.

Ci andava da ragazza a studiare, nelle prime giornate primaverili, su una panchina un po’ defilata tra gli alberi, lontana dal punto chiassoso dei giochi, e anche dalle ciarle di mamme distratte, nonni arrugginiti, nonne apprensive e rari padri in evidente disagio. Le piaceva lasciarsi accarezzare dal sole tiepido che filtrava tra i rami, la aiutava a concentrarsi nella lettura dei capitoli da studiare e quando proprio avvertiva il bisogno di staccare un po’, si alzava e raggiungeva il laghetto dove cigni, oche e anatre (era lì, dunque, che finivano quelle di Central Park?) caracollavano tra l’acqua stagnante e la fronzuta isoletta che li ospitava. Proprio davanti a quei pennuti, qualche tempo dopo, si era lasciata baciare per la prima volta, tra uno starnazzare scomposto che pareva commentare allarmato o sghignazzare beffardo. Sempre lì ricordava di aver portato il suo bambino, dopo la tappa obbligata dagli scivoli e le altalene, a gettare il pane secco tra schiamazzi litigiosi e piume che volavano nella rissa per accaparrarsi i pezzi più grossi.

Ma il tempo era trascorso e tante cose erano cambiate, così come era cambiata lei e la sua vita.  I giochi dei bimbi, dopo essere stati abbandonati fino al loro degrado, a causa di lunghi anni di cantieri e lavori, erano stati alla fine sostituiti, ma il laghetto aveva perso i suoi ospiti starnazzanti e tutto le pareva più triste e opaco, o forse era il suo sguardo ad esserlo.

Quella sera, chissà perché, forse presa dalla malinconia, si era fermata dal laghetto, appoggiandosi alla sua balaustra di ferro, osservando il vuoto che lo riempiva. Dopo pochi minuti, un uomo anziano si avvicinò, appoggiandosi anch’egli a quel sostegno. La donna ne fu infastidita e fece per andarsene, quando il vecchio le rivolse la parola: “Che tristezza, però…”. La donna rimase in silenzio, limitandosi a voltare appena il capo verso il suo interlocutore. “Sì, dico” insistette l’uomo “Non trova che senza le paperelle questo stagno abbia perso il suo senso?”. Questa volta, per l’innata gentilezza che da sempre albergava in lei, si sentì in dovere di rispondere: “Eh…” sospirò “Non ha torto… tutto cambia…”  e di nuovo fece per riprendere il cammino, ma l’uomo continuò: “Pensi che qui venivo da bambino, coi miei amichetti, davamo da mangiare alle anatre, guardavamo gli anatroccoli che si buttavano nell’acqua per la prima volta, seguendo la mamma, qualcuno di noi, più monello, buttava i sassolini e doveva sentire come protestavano rumorosamente le oche! A volte infilavano il becco qui, tra le sbarre e provavano a beccare quella manina cattiva”. Si interruppe per ridere e fu in quell’esatto momento che avvenne il fenomeno. Mentre il vecchio aveva ripreso a parlare, dicendo di un piccolo circuito ovale, ora abbandonato, dove i bambini potevano girare con le biciclette che un omino noleggiava per un’ora, il viso dell’uomo, impercettibilmente, stava mutando. Man mano che proseguiva il suo racconto, i lineamenti segnati si ammorbidivano, le rughe si spianavano, gli occhi da opachi divenivano lucenti e la stessa voce da arrocchita si era mutata in un timbro limpido e infantile. La donna aveva ora uno sguardo incredulo, sbigottito, sconvolto. Si sentì mancare e quasi cadde a terra, ma l’uomo si accorse del suo malore e la sorresse. Quando si riprese, dopo alcuni istanti, vide nuovamente il volto di un gentile signore anziano che le domandava preoccupato: “Signora, sta bene?”. “Sì, grazie, scusi, devo andare…” e si allontanò quasi correndo, pur con le gambe che ancora le tremavano.

2 – Era trascorso più di un mese da quell’episodio. La donna si era convinta di essere stata vittima di una allucinazione, forse provocata dalla stanchezza o dalla depressione di cui soffriva da qualche tempo. Non era più passata da quel parco. Addirittura aveva preferito ricominciare a servirsi dei mezzi pubblici, anche se detestava essere schiacciata, spintonata, soffocata da tutte quelle persone che si riversavano sui bus e sulla metro nelle ore di punta.

Quella mattina aveva anticipato la sua uscita da casa e si ritrovò su un autobus stracolmo di ragazzi che andavano a scuola, tutti con zaini pesanti e ingombranti che contribuivano non poco a ridurre il già esiguo spazio a disposizione dei passeggeri. La donna, già di malumore, raggiunse il culmine dell’esasperazione quando un ragazzotto brufoloso e dallo sguardo sfrontato, le soffiò letteralmente un posto rimasto libero dopo la discesa di un passeggero, spintonandola senza molti riguardi. “Maleducato!” sibilò, non trovando in sé la forza per protestare con maggior piglio. Lui la fissava beffardo, ciancicando una gomma con aria provocatoria. Fu in quel frangente che il fenomeno si ripresentò, stavolta però in modo contrario a come era accaduto al parco. Il volto del ragazzo lentissimamente stava cambiando. I brufoli sparivano, cancellati da una barbetta incolta, la pelle pareva asciugarsi e segnarsi di un reticolo di linee, che sottolineavano l’espressione vinta di occhi e bocca. I capelli si erano fatti più radi e le spalle più cascanti. La donna non riusciva a staccare lo sguardo attonito da quel volto così modificato, il respiro le si fece affannoso e, spintonando a sua volta, si avvicinò alla porta dell’autobus per scendere. Schiacciò il bottone per prenotare la prossima fermata, anche se era ancora lontana dalla sua. Nel momento in cui scese, non riuscì a impedirsi di volgere nuovamente lo sguardo verso il ragazzo. Ed era di nuovo un ragazzo quello che vide, con i suoi brufoli e lo sguardo strafottente. Una volta sul marciapiedi, dalla pensilina della fermata, rimase immobile per qualche minuto, finché non fu bruscamente spinta da chi doveva salire sull’altro autobus che stava arrivando. Si riscosse, guardò l’ora, vide che era ancora in anticipo sull’entrata in ufficio e, dopo una breve sosta per prendere un caffè al bar, si rimise in cammino a piedi.

3 – Un sabato di metà settembre decise di concedersi una mattinata al mare. Ormai il caldo più afoso era un ricordo, il sole faceva il suo ingresso più tardi e il mare aveva quella dolcezza languida che segna lo sguardo delle donne sole. Scesa in spiaggia, posò il borsone sui ciottoli, si lasciò indosso un prendisole leggero e decise di fare una camminata sulla battigia. Il brivido di piacere che le onde le davano carezzandole i piedini, era impagabile. A un certo punto si sedette, incurante che l’acqua bagnasse il suo prendisole. Guardava il doppio azzurro del mare e del cielo fondersi in sfumature di bellezza. Ascoltava lo sciabordio del mare come si ascolta una voce amata, dolce, comprensiva. Respirava. Respirava coi polmoni e con la mente, riempiendo quelli di aria salmastra e questa di pensieri leggeri. Lasciò i suoi sensi impregnarsi di benessere. Da quanto tempo non si sentiva così? Avvertì gli occhi bruciare di lacrime. “Stupida”, si disse e distolse lo sguardo dall’orizzonte e si volse indietro a osservare le poche persone presenti con lei sulla spiaggia. E qui si verificò il fenomeno in modo ancora più incredibile, rispetto alle volte precedenti.

Un paio di signore, già avanti con l’età, mutarono i propri volti appesantiti di anni e di esperienze, in quelli di due ragazzine gioiose e cinguettanti. Un gruppetto di bambini in cerchio, intenti a costruire qualcosa con le pietre, improvvisamente ebbero le facce assorte e scettiche di pensionati davanti a un cantiere. Una appariscente signora prosperosa, dai lineamenti innaturalmente liftati, recuperò i tratti di una adolescente bruttina. Due fidanzatini che si stavano baciando teneramente, sembravano ora due vecchi coniugi sfatti di noia e indifferenza. E tutto questo avveniva e svaniva come la vita effimera della spuma del mare.

La donna si levò in piedi. Si sentiva girare la testa. Un po’ barcollante attraversò la spiaggia, si rivestì, raccolse le sue cose e in qualche modo ritornò a casa.

4 – Aprì la porta dell’appartamento non senza difficoltà: le tremavano le mani. Lasciò cadere la borsa per terra e si diresse in bagno. Qui si spogliò e aprì l’acqua della doccia. Si mise sotto al getto. Si accucciò. L’acqua tiepida le scorreva addosso. Rimase in questa posizione a lungo, poi si rialzò, chiuse il rubinetto e uscì dalla doccia. Si mise, nuda come stava, davanti allo specchio sopra il lavandino. Fissò il suo riflesso sapendo già cosa avrebbe visto: una bimba, una ragazza, una donna, una vecchia. Poi più nulla.

Più nulla.

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