Provo a illustrare una poesia per il salotto poetico del venerdì, nella speranza che possa guarire la mia anima, che arranca nell’inferno dei vivi.
Ho scelto queste parole di Gianluigi Gherzi, lette da Simona Garbarino, perché mi hanno trafitta e mi hanno procurato un dolore dolce e consapevole.
Ecco il testo:
Ti auguro
l’amore che ha gli occhi spalancati
quegli occhi
che sanno brillare
per la gioia e la felicità
di averti vicino.
Tu storto come sei
con tutte le ombre che ti porti dentro,
riconosciuto come luce,
come regalo
come inspiegabile inizio.
Amore che non seziona
non divide in pregi e difetti
che ama il miracolo che sei,
non lo spezza, non lo seziona.
Gianluigi Gherzi
Gianluigi ci parla di uno stato auspicato, non certo ma possibile, augura un prodigio che, quando accade, dà compiutezza a un’intera vita: essere amati per ciò che si è, essere individuati come essenza e di tale essenza essere fatti sostanza.
Dostoevskij scrisse: “Amare qualcuno significa vederlo com’era nelle intenzioni di Dio”, dove la divinità va oltre il concetto religioso, ma si sposa con il concetto di perfezione idealizzata, non quella oggettivamente relativa e persino stupida nella dettatura/dittatura di canoni insulsi. L’Amore, il riconoscersi, il trovarsi, mostra dell’amato quella perfezione che è tale per chi sa vedere oltre l’aspetto fisico, oltre le ombre, oltre le corazze, oltre le paure, oltre le malattie. O meglio: chi ama d’amore vero, vede tutto e tutto sa amare perché è quello che costituisce la persona amata è quello che ha formato il suo “oltre”. Sei così, ti amo così, perché sei figlio del tuo dolore, della pena del vivere. E io sono come te e so che tu mi vedi per come sono. Nell’amore vero, “il miracolo che sei” è “hic et nunc”, qui e ora: qui il destino doveva farci incontrare, ora è il momento per riconoscerci e amarci.
Descrizione dell’immagine
Per illustrare questa poesia ho scelto un mio vecchio disegno, che già raccontava tutto questo, si intitolava TRUE LOVE. Mostra una manichina seduta su una roccia nei fondali marini, che guarda con occhi dolci e felici un ippocampo che si inchina a baciarle una spalla. Due creature che sembrano ciò che non sono: l’ippocampo è un pesce che somiglia a un cavalluccio dal corpo ricurvo, la manichina è di plastica e ha le fattezze di una donna prigioniera della sua immobilità. La loro sembra un’intesa impossibile, ma entrambi superano ciò che li definisce e li ghettizza: in quelle profondità abissali e misteriose, si sono riconosciuti e si sono amati per ciò che è la loro essenza e che ad altri sfugge. Sono un reciproco, perfetto, miracolo d’amore.
Nella parte sinistra del disegno, il testo della poesia.
#Aglaja
la precisione del disegno è interessantissima 😀
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Grazie! 🙂
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prego! 😀
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Ci sono così tanti modi di essere amati, e di amare; forse la complicazione sta nel voler essere amati da chi desideriamo noi, e come desideriamo noi. Parametri che oltretutto variano nel tempo
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Certo. Per questo nel testo si parla di miracolo 🙂
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E’ il mio compito nel salotto poetico dell’amica attrice e poetessa Simona Garbarino. La descrizione dell’immagine è per miei amici non vedenti 🙂
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Aggiungo che ripropongo nel blog (che uso come raccoglitore) quanto pubblicato sulla pagina de La finestra sull’anima, che offre le dirette delle interpretazioni di Simona.
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Capito! 🙂
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Sei molto didascalica in questi tuoi articoli: forse potresti provare a mettere la sola immagine e poi, nei commenti, capire se quello che ti eri prefissa è stato raggiunto. O al più dare qualche spiegazione in un secondo articolo, in modo da lasciar spazio all’immaginazione dell’osservatore/lettore.
E’ solo una mia idea, eh. Niente di personale, anzi… fossero tutti poco ferrati come me, dovresti spiegare anche di più! 😉
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