Nella rubrichina di miei disegni su La Rivista Intelligente continua la serie dei “Ritratti imperfetti”.
Nei quadri surrealisti si cerca di esprimere la forza autentica del pensiero al di fuori d’ogni controllo esercitato dalla ragione e fuori d’ogni preoccupazione estetica o morale. Ci s’ispira all’inconscio dell’uomo – visto come il grado più profondo e autentico della realtà – e a tutte le manifestazioni di questo (dai sogni agli stati di sonnambulismo, dalla trance medianica all’alienazione mentale). In questo “ritratto imperfetto”, la donna raffigurata non guarda chi la sta osservando, segue un’immagine interiore, uno stato dell’animo che nessuno, oltre lei, può intendere nel suo significato più pieno. Forse, puntando l’attenzione sull’eccentrico copricapo (una tazza, circondata da fiori, in cui un passerotto ha fatto il nido, dove ha deposto le uova), la si potrebbe stigmatizzare come “alienata”. Il termine alienazione [dall’aggettivo latino alienus e questo, a sua volta, dal pronome indefinito “alius” (in greco allos): altro] fa riferimento a colui o a ciò che è “altro”, “straniero”, “estraneo”, ossia chi non appartenente alla cosiddetta società “normale” e “perbene” (e qui dovrei perdermi nel pirandelliano interrogarsi su chi o cosa stabilisca la normalità…). E’ certo più semplice non spendere tempo per comprendere chi è sentito come “diverso”, piuttosto che entrare nel suo mondo, fatto di simboli indecifrabili e dolori indicibili.