Nella rubrichina di miei disegni su La Rivista Intelligente continua la serie dei “Ritratti imperfetti”.
Quante me stesse ci sono, c’erano, ci saranno, in ogni istante del tempo che mi è dato vivere? Ma sono sempre io, la bimba vecchia e la vecchia bambina? Cambiano i miei lineamenti, l’aspetto esteriore, lo stato degli organi interni, è evidente. Ma l’essenza di me, rimane inalterata o muta con la conoscenza e l’esperienza, con le vicende vissute e gli incontri fatti? Mi costruisco ogni giorno od ogni giorno mi demolisco un poco? E quanto di quelli che c’erano – e ora mancano – è rimasto nei neuroni miei che ancora funzionano, o credono di funzionare, nell’aria che respiro, nelle allucinazioni visive, tattili, olfattive, uditive che mi accompagnano, così potenti da essere più vere di ciò che la ragione ritiene? Il tempo che l’orologio mostra è quello misurabile, oggettivo: segna passaggi numerici, così come il metro segnava, un tempo, di quanto ero cresciuta e segna, ora, di quanto la mia schiena si accartoccia su se stessa. Ma il tempo interiore, soggettivo, mi parla di istanti lunghissimi, che ancora si dispiegano immutabili; misura giorni più lunghi di un’intera vita, anni fuggiti più rapidamente di attimi.
Questo il senso dell’immagine: un orologio fermo, che ghiaccia in un unico istante una bimba e una vecchia, gemelle diverse che convivono nella stessa persona. Per sempre.