Dice: sei genovese, perché non scrivi qualcosa su Tenco, che è l’anniversario della nascita (Cassine, 21 marzo 1938 – Sanremo, 27 gennaio 1967)?
Mah, le parole da dire sarebbero molte, probabilmente inadeguate, sia al mito tragico che al ragazzo scontroso, quello che pestava i tasti chino su un pianoforte e non guardava mai in camera mentre cantava – quietamente angosciato – le note di “Vedrai, vedrai”.
I miei ricordi di lui sono tutti in bianco e nero, sono spezzoni di trasmissioni e sigle di altre, sono notizie contraddittorie, disparate e disperate sulla sua vita e sulla sua morte, sono canzoni ascoltate fino a consumare il nastro delle musicassette comprate all’autogrill e cantate nei primi viaggi con gli amici, rimanendo poi in silenzio a pensare al significato di quei testi, alla vita arrabbiata e delusa che rappresentavano, una vita rifiutata pur desiderandola. Ma pensare a Tenco come l’emblema della depressione sarebbe ingiusto. A me piace molto anche il suo lato provocatorio, sarcastico, ironico, sociale. Un esempio? Ascoltate con attenzione il testo (e l’interpretazione…) di “Giornali femminili”
“Perché scrivi solo cose tristi?” – “Perché quando sono felice, esco”.
Avrei forse dovuto citare, in chiusura, un verso delle canzoni più celebri di Tenco, ma do per scontato che le conosciate. Ho scelto invece la risposta che diede nel corso di un’intervista, perché per me questa è l’essenza di Luigi e, scusate, anche la mia.
E come darti torto, prof? 😉
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