La prima volta che lo vide fu in un anticipo di primavera.
Era gennaio, in realtà, ma l’aria era così tersa e limpida che, come sempre, il ragioniere dimenticò il calendario e si convinse che l’inverno era ormai cosa passata. Il sole tiepido e il cielo azzurro (“Da cartolina”, come in quelle giornate era solito ripetere, tra sé e a chi incontrava) parevano confermare tale illusione. “Nina, vado io a fare la spesa?” si offrì quella mattina. Era ormai già da un anno in pensione e, dopo l’iniziale sbandamento, aveva accettato di buon grado la nuova routine, fatta di piccoli incarichi che la moglie volentieri gli affidava, forse più per non vederselo ciondolare in casa che per effettivo bisogno.
Così, anche quel giorno, la signora Nina gli stilò sulla paginetta di un notes l’elenco delle cose che mancavano. “Pane, latte, uova, cipolle, patate…” leggeva muovendo leggermente le labbra il ragioniere, mentre già si trovava per via “Due etti di prosciutto cotto del migliore, uno di salame…” voleva imparare la lista a memoria: si piccava di non fare come i vecchietti (eh sì, per lui gli altri pensionati, magari suoi coetanei, erano “vecchietti” alzheimerati) che quando toccava a loro nei negozi, tiravano fuori foglietti cincischiati – spesso già unti e un po’ strappati – dalle tasche. Per leggerli, poi, inforcavano occhiali con spesse lenti da presbiti, quelle che rendono gli occhi enormi e gli sguardi più smarriti.
Il ragioniere ci teneva a mostrarsi ancora giovanotto, quasi fosse in vacanza, casualmente in ferie ma volonteroso nell’assolvere minute incombenze. Gli piaceva fare bella figura nei negozi: si schiariva la voce, tirava la pancia in dentro, sfoderava sorrisi e battute argute e snocciolava con sicurezza l’elenco preparato dalla moglie.
E poi aveva le sue soste fisse: dal giornalaio, che lo salutava con uno squillante “Buongiorno ragioniere!”, facendolo ancora sentire importante; con l’ex collega dell’ufficio commerciale andato in pensione due anni prima, che abitava nello stesso quartiere e che lo attendeva sempre alla prima panchina dei giardini, per leggere i quotidiani e commentarli animatamente; dal piccolo caffè d’angolo, con la barista che serviva ottimi cappuccini e squisita cordialità.
Anche quel giorno, dunque, si preparava ad affrontare la mattinata di buon umore.
In seguito non ricordò più il perché né il momento preciso, ma accadde che improvvisamente si ritrovò col naso all’aria ad osservare qualcosa. Forse aveva sentito un aereo passare, forse una goccia (qualcuno che innaffiava le piante? un uccellino incontinente?) lo aveva raggiunto sul viso, forse il riverbero del sole su un vetro lo aveva abbagliato. Chissà. Fatto sta che levò lo sguardo in alto e lo vide.
Un cane.
Un cane nero che camminava al di là del parapetto del terrazzo di un attico al settimo piano.
Si muoveva, apparentemente senza alcun timore, su quei pochi centimetri che separavano il terrazzo dalla grondaia.
Al ragioniere balzò il cuore in petto e represse a stento un grido. Si sentì quasi in preda alle vertigini, come se lui stesso si trovasse in quella assurda situazione di precario equilibrio. Come aveva potuto la povera bestiola cacciarsi in un simile pasticcio? Da uomo razionale qual era, cercò subito una soluzione: corse al portone di quel caseggiato e citofonò all’inquilino dell’ultimo interno. Suonò più volte, ma nessuno gli rispose. Provò allora ad altri numeri e finalmente una vocina gracchiante e femminile gli rispose che i signori del 15 stavano tutto il giorno fuori casa e rientravano solo la sera. Il ragioniere spiegò preoccupato la storia del cane, ma la signora gli rispose che si sapeva, che non era il caso di allarmarsi. Già da tempo si erano accorti che l’animale, lasciato sempre solo sul terrazzo, riusciva – chissà come, chissà da quale pertugio – a infilarsi sotto il parapetto sbucandone oltre e che, dopo aver fatto il giro di tutta la grondaia che circondava il piano, se ne tornava da dove era venuto. Finora non era mai accaduto nulla e, del resto, quelli del 15 erano tanto sostenuti e riservati che a nessuno era parso opportuno avvertirli.
Il ragioniere tornò così sui suoi passi. Attraversò la strada per entrare dal salumiere, ma tant’è… istintivamente lo sguardo tornò in alto, verso quella strana creatura equilibrista. Era ancora lì, ferma adesso, immobile col muso rivolto verso il sole. All’uomo parve di scorgerne persino gli occhi stretti per non farsi abbacinare, un’espressione di sfida e godimento che sconcertava. Certo doveva essere una sua fantasia, una reazione irrazionale ad un evento illogico… Entrò nel negozio, ma quando toccò a lui si confuse, fu costretto suo malgrado a tirare fuori la lista e a leggerla, tenendo ben tese le braccia per mettere a fuoco le lettere. Seccato per questa sua piccola défaillance, dimenticò le consuete soste e tornò a casa di pessimo umore. Fu sgarbato anche con la moglie che gli chiedeva conto di aver dimenticato pane e giornali. Trascorse il pomeriggio a studiare il bilancio domestico e a brontolare con la signora Nina per le spese – a suo dire eccessive – del mese precedente.
Il mattino dopo, addusse al suo cuore un po’stanco il rifiuto di uscire e per due giorni si dedicò a una sua raccolta di francobolli, da tempo trascurata, lasciando alla moglie l’incombenza della spesa.
I francobolli e qualche attenzione materna da parte della signora Nina non tardarono a rinfrancarlo e ben presto lo strano episodio del cane e la figuraccia dal salumiere furono archiviate. Nei giorni seguenti evitò comunque di passare da quella via, preferendo servirsi al supermarket del corso.
Poi la vita riprese tranquilla col solito tran tran, gli acquisti, le soste, le rassicuranti abitudini. Un paio di volte si impose di lanciare un’occhiata fugace a quel terrazzo, ma del cane non vide traccia.
Due settimane trascorsero e il ragioniere si trovava a chiacchierare amabilmente all’angolo con una conoscente, quando, senza motivo alcuno, ancora lasciò lo sguardo dirigersi all’ultimo piano del palazzo di fronte. E questa volta era lì: il cane stava correndo, agile e sicuro, su quello stretto bordo. Sembrava una striscia nera, maledetto lui, tanto veloce girava in tondo sulla grondaia.
Il ragioniere, come stranito, se ne stava a bocca aperta ad osservarlo, senza accorgersi che la sua interlocutrice, dopo aver vanamente cercato di riportare su di sé l’attenzione dell’uomo, se ne era andata offesa, lasciandolo solo. Si riscosse da quella visione quando si sentì apostrofare dall’ex collega, giuntogli alle spalle, che lo invitava a prendere qualcosa di caldo in quella giornata ventosa. Lo seguì docilmente al caffè, ma partecipò distrattamente al solito scambio di battute con la barista. Continuava a pensare a quel cane. Sembrava sfidare le leggi della fisica e del buon senso: come faceva a mantenere l’equilibrio? come poteva non precipitare, spazzato via come una foglia dal vento? Uscì dal locale senza pagare, lasciando attonito chi ben lo conosceva come uomo attento e preciso.
Lo stesso pomeriggio ritornò in quella strada, ma non vide il cane. Ripassò il giorno seguente: nessuna traccia dell’animale.
Dovettero passare altri giorni prima che il cane nero ricomparisse. Questa volta era pigramente allungato sia con le zampe anteriori che con quelle posteriori. Sembrava un elastico teso. Come potesse non rotolare di sotto appariva inspiegabile: sembrava quasi fosse incollato in quello stretto spazio. D’un tratto si tirò su, come sollevato da fili invisibili, e girò il muso verso la strada. Al ragioniere parve di essere osservato con distaccata curiosità da quel nero mistero. Dopo qualche secondo, con lentezza, il cane iniziò il suo giro intorno alla grondaia. Al terzo passaggio, di nuovo guardò in basso e di nuovo sembrò studiare quell’uomo che ne seguiva affascinato i passi. Riprese quindi la passeggiata, ma non riapparve una quarta volta.
In inutile attesa, il ragioniere restò immobile sul marciapiede ancora qualche minuto. Poi, rassegnato, svoltò dall’altro lato del palazzo. Qui incontrò il solito ex collega che stava osservando gli operai di un’impresa edile montare delle impalcature. Gli si affiancò, mettendo le braccia dietro la schiena come l’altro e divaricando leggermente le gambe, quasi a trovare un assetto migliore. Non si erano neppure salutati, i due pensionati, tanto erano presi a seguire ogni movimento degli operai. Fu l’ex collega a iniziare la conversazione, alzando la voce per superare il clangore dei tubi che cozzavano l’uno sull’altro nell’essere issati e montati: “La settimana scorsa a momenti ci restava secca una donna”. “Che? Chi?” borbottò il ragioniere “L’altra settimana, dal cornicione” “Che cosa dal cornicione?” “Se ne è staccato un pezzo e a momenti finiva in testa a una che passava”. Il ragioniere ora era attentissimo. Quello era il cornicione su cui correva il cane. La voce gli uscì strozzata mentre chiedeva: “Non si è fatto male nessuno, però” “Beh, no, a parte il cane…” “Il cane…” ripeté stolidamente il ragioniere “Eh, sì, povera bestia… girava sempre intorno alla grondaia, c’era un pezzo del divisorio rotto e lui ci si infilava per correre sul cornicione. Poi la settimana scorsa il cemento ha ceduto e lui è precipitato giù, ma come ti dicevo, fortunatamente la signora non si è fatta male…” “Sì, certo, una vera fortuna”. Il ragioniere sentiva gli occhi bruciare di lacrime, neppure salutò l’ex collega e, mentre si allontanava velocemente, le sentì scendere sul viso, incapace di trattenerle. Dovette fermarsi, non vedeva più niente. Si sedette su una panchina. Tirò fuori il fazzoletto dal taschino e iniziò passarlo sugli occhi e a tamponarsi le guance. Poi si fermò di botto. Un’immagine gli era tornata improvvisamente alla mente: solo mezz’ora prima aveva visto il cane sulla grondaia! Lo ricordava perfettamente, prima steso, allungato, spalmato sul cornicione e poi in piedi, quasi librato, con lo sguardo fisso nel suo. Il ragioniere chiuse gli occhi, si abbandonò indietro, sullo schienale della panchina. Sentiva il cuore pulsare aritmicamente, mentre puntini luminosi gli riempivano le palpebre. Un attimo, e si sentì meglio. Aprì gli occhi e lo vide. Era proprio davanti a lui e lo stava fissando, scodinzolando. Si incamminarono insieme. Aglaja