Per undici splendidi anni sono stata la “socia” di Enzo Costa, giornalista satirico (Repubblica e Unità), umorista (Tango, Cuore), scrittore, poeta. Tutto, ma proprio tutto, quello che abbiamo fatto insieme lo potete trovare qui
Così ci siamo raccontati a vicenda, per presentarci nell’ultima occasione in cui siamo stati insieme in pubblico, per la mostra “Tra il dire e il disegnare c’è di mezzo il mare”
ENZO, L’INDEFINIBILE

Una volta, nel corso di un’intervista televisiva, mi fu chiesto di descrivere in due parole Enzo Costa. Feci ricorso alla mia abusata mimica facciale zeneise (quella che stropicciava la maschera di Govi, per intenderci) e allargando le braccia risposi: “Enzo Costa è… Enzo Costa!”. Come raccontare, infatti, brevemente, tutto quello che Enzo è? Per non parlare di tutto ciò che fa. E tacendo di tutto ciò che, nel frattempo, pensa già di fare. Enzo, tanto per farla semplice, è un genio. Ora, mentre scrivo, so già che lui, leggendo queste mie note, reciterà tra sé e sé quel suo celebre aforisma: “Gli uomini si dividono in due categorie: i geni e quelli che dicono di esserlo. Io sono un genio”. Credete a me: il mio socio è davvero un genio! Il suo cervello compie capriole ardite negli spazi di ogni genere: in lui troverete il battutista micidiale, l’umorista (umorale, come ebbe a definirsi) sottile, il commentatore politico (che comprende prima di altri derive o spiragli) e quello pirotecnico (dove i fuochi d’artificio linguistici di Enzo diventano spilloni garbati, che trafiggono con delicatezza chirurgica certi pupazzi delle cronache politiche, in una sorta di voo-doo apotropaico), il prosatore caustico e quello introspettivo, il poeta satirico e quello onirico. E’ artista – e uomo – dalle infinite sfaccettature. Coglie il particolare che sfugge ad altri, avverte il dolore dove meno è evidente, evidenzia il paradosso che muta la prospettiva di un gesto o di un fatto. Ha uno sguardo sempre attento agli altri, che va oltre le apparenze e le maschere; Enzo ascolta parole e silenzi e li colora con la sua eccezionale sensibilità. E’ il socio che da undici anni mi sfida ad entrare ogni giorno nel suo mondo di parole con i miei disegni. E’ la persona che ha creduto nelle mie attitudini prima ancora che divenissero capacità. E’ Enzo Costa, e mi inorgoglisce pensare che la mia matita sia l’altro capo della sua penna.
Aglaja
AGLAJA, L’INIMMAGINABILE

Sono undici anni che Aglaja è la mia socia di perfidie satiriche. Undici anni che accosta le sue figure alle mie parole, undici anni che immagina immagini meravigliosamente inimmaginabili per i miei scritti poco commendevoli. Lo fa, come sanno bene i suoi numerosissimi estimatori, ogni giorno sul web, ogni tanto sui libri, ogni reading sugli schermi di biblioteche, librerie, sale di festival poetici più o meno abusivamente occupate. Una costanza (sostantivo che, guarda un po’, inizia col mio cognome) che ha dell’eroico e del temerario, giacché ci vuole coraggio e incoscienza per cimentarsi per tremilaseicentocinquanta giorni consecutivi nell’esercizio senza rete della personalissima rielaborazione grafico-pittorica, in rete e fuori, di corsivi corrosivi e rime bacate, per di più firmati dal sottoscritto. Eppure Aglaja lo fa, con una naturalezza che ha dell’incredibile, ma che, al tempo stesso, ha dello spiegabile, risalendone alla semplice, unica causa: il talento.
Ebbene sì, Aglaja è dotata di un talento mostruoso (anche nel senso di meritevole di una mostra), riscontrabile, oltre che nell’assoluta originalità del tratto e del trattamento dei vari materiali iconografici su cui agisce creativamente, nella straordinaria personalità che rivela trattando la mia scrittura: il suo è tutto fuorché un lavoro di didascalie per immagini dei miei testi. Certo, parte da questi, ma se ne allontana subito, con la forza propulsiva di una fantasia esplosiva che, come dicevo, le consente tutto: dai miei brevissimi lanternini per Repubblica Genova, dalle mie più articolate scudisciate per l’Unità, dai miei versi e versacci assortiti, dai miei aforismi sui minimi sistemi, lei ricava visualmente associazioni o dissociazioni di idee, sottolineature di concetti o ribaltamenti di prospettiva, fughe in avanti o ripiegamenti, astrazioni di politici esistenti o concretizzazioni di emozioni evanescenti.
Le sue figure sono il secondo tempo delle mie parole, o anche un altro film possibile, una trama nascosta, una versione da me imprevista. Si consente libertà interpretative che mi e ci consentono voluttà visive e spirituali: è un piacere per gli occhi e per l’anima gustare cosa diventano, attraverso la sua matita digitale, le cose che scrivo.
Ovvio: ad una qualche costrizione, per forza di associazione a satireggiare, Aglaja deve sottoporsi. Provateci voi a tradurre liberamente in immagini una massima (parola enorme) come “Dio c’è, solo che è terribilmente pigro”, o un pensiero (definizione iperbolica) come “Sono un megalomane moderato: dopo di me, un acquazzone”. Anzi, non provateci proprio, perché ci ha già provato lei, ottenendone capolavori ineguagliabili di arguzia grafica. Ma lei fa questo, e di più: maneggiando genialmente i miei epitaffi in rima, per esempio, riesce nell’impresa miracolosa di abbinare a Giovanardi la prova ontologica dell’esistenza di Dio, indicandola per di più in un reggiseno rosso (per quanto…), oppure perviene al prodigio di radiografare spiritualmente Sallusti e letteralmente la Santanché.
C’è stata un’occasione, in questi undici anni, in cui, invece, sono partito io da una sua immagine: è stata l’occasione, tristissima, dell’alluvione di Genova del novembre 2011. Aglaja, in quei giorni così dolorosi, aveva raccontato il dramma della nostra città trasponendo L’Urlo di Munch nello scenario desolato dell’acqua e del fango. Ne è nata una mia poesia, poi divenuta anche una canzone musicata da me e Roberto Costa, che l’ha suonata, con la magnifica interpretazione vocale di Roberta Alloisio. E dalla canzone è scaturito poi un video, con altre immagini di Aglaja.
Non è il caso di aggiungere altro (essendo il caso di ammirare – tutto l’altro – nella mostra), se non l’informazione che, nella mostra stessa, si possono apprezzare anche lavori autonomi di Aglaja, ossia opere non abbinate alle mie parole, contrassegnate da una mirabolante potenza onirica, a volte colorata da tinte malinconiche, altre volte animata da accenti umoristici (come nelle vignette della domenica). Buona visione.
Enzo Costa